Daniele Garritano: Perché gli insetti nel tempo della povertà
Perché gli insetti
nel tempo della povertà
Gli insetti assumono, per costituzione interna, la struttura del segreto.
Sempre avvolti da un mantello protettivo (una «boîte osseuse» descritta dallo storico francese Jules Michelet), questi animali contengono una potenza sproporzionata rispetto alla dimensione microscopica del loro corpo e alla durata effimera della loro vita. Del microscopico e dell’effimero gli insetti rappresentano l’emblema. Quasi invisibili, ci si accorge della loro presenza molto spesso con l’udito più che con la vista.
L’insetto è per l’uomo anche la figura dell’altro, in cui si condensano le fobie e le fantasie più caparbie, capaci di sopravvivere fino ai nostri giorni. Ciò vale per molte tradizioni e per molte culture. Le linee di sviluppo della sua mitologia sono essenzialmente due: i racconti popolari e le configurazioni mitologiche presentano, da una parte, un immaginario apocalittico legato a invasioni, epidemie e contagi, in cui l’uomo è preda della voracità dell’insetto. L’altra linea, non meno feconda, si sviluppa sul binario di una profonda comunanza che lega l’uomo all’insetto. Entrambi sono accomunati da uno statuto di eccezionalità e rappresentati come l’alfa e l’omega della scala de viventi: «i due punti di sbocco dell’evoluzione biologica» (Caillois).
Alterità e distanza, però, non sono assolute: l’insetto è il tutt’altro dall’uomo che rivela sorprendenti aspetti di familiarità con il mondo dell’uomo. Si tratta, infatti, di una figura dell’altro con cui l’uomo ha molte caratteristiche in comune; ed è proprio questa parentela trasversale – capace di attraversare gli anelli della catena delle specie – a costituire il tratto più stimolante, più inquietante, più perturbante (unheimlich) di una relazione sempre in bilico fra la separazione e la non-separazione. La stessa etimologia della parola “insetto” rimanda al rapporto tra il separato e il non-separato (en-temno; in-seco). Non soltanto l’etimologia, ma anche l’aspetto fisico dell’insetto mostra una tendenza alla separazione congiunta: linee di frontiera dividono – e al tempo stesso tengono insieme attraverso degli anelli – le sezioni del suo corpo.
Veniamo ora a Proust, che di insetti si è interessato soprattutto da un punto di vista poetico.
Nell’animale microscopico l’autore della mostruosa Recherche ha intravisto il simbolo – ma forse i maestri di retorica parlerebbero di allegoria – di un processo creativo che definiamo per comodità di sintesi arte.
Costruttore e distruttore, l’insetto è sospeso – proprio come l’essere umano – tra due catene di impulsi contrari. In questo chiasmo risiede gran parte del potenziale attrattivo dell’insetto. È senz’altro possibile che sia stato il nucleo della metamorfosi – in cui vita e morte si compendiano in una trasformazione radicale – a determinare il fascino che l’universo microscopico degli insecta ha esercitato su alcuni artisti. Nel minuscolo corpo dell’insetto si compie l’opera del Tempo nel modo più spettacolare, ovvero con un avvicendamento di morti e resurrezioni che l’occhio umano – in particolare l’occhio dell’entomologo – può seguire passo dopo passo: una serie di morti successive in cui al trapasso segue una trasformazione radicale.
È così che Proust ha trovato nella figura microscopica di questo instancabile costruttore distruttivo l’emblema di un processo creativo. In esso vita e morte sono inseparabili, l’una gemella dell’altra. Non c’è creazione che non implichi distruzione. L’insetto, che nell’arco della vita compie diverse metamorfosi, si affretta ogni volta a separare da sé una parte della sua stessa vita, morendo, ma permettendole in questo modo di sopravvivere:
Sempre avvolti da un mantello protettivo (una «boîte osseuse» descritta dallo storico francese Jules Michelet), questi animali contengono una potenza sproporzionata rispetto alla dimensione microscopica del loro corpo e alla durata effimera della loro vita. Del microscopico e dell’effimero gli insetti rappresentano l’emblema. Quasi invisibili, ci si accorge della loro presenza molto spesso con l’udito più che con la vista.
L’insetto è per l’uomo anche la figura dell’altro, in cui si condensano le fobie e le fantasie più caparbie, capaci di sopravvivere fino ai nostri giorni. Ciò vale per molte tradizioni e per molte culture. Le linee di sviluppo della sua mitologia sono essenzialmente due: i racconti popolari e le configurazioni mitologiche presentano, da una parte, un immaginario apocalittico legato a invasioni, epidemie e contagi, in cui l’uomo è preda della voracità dell’insetto. L’altra linea, non meno feconda, si sviluppa sul binario di una profonda comunanza che lega l’uomo all’insetto. Entrambi sono accomunati da uno statuto di eccezionalità e rappresentati come l’alfa e l’omega della scala de viventi: «i due punti di sbocco dell’evoluzione biologica» (Caillois).
Alterità e distanza, però, non sono assolute: l’insetto è il tutt’altro dall’uomo che rivela sorprendenti aspetti di familiarità con il mondo dell’uomo. Si tratta, infatti, di una figura dell’altro con cui l’uomo ha molte caratteristiche in comune; ed è proprio questa parentela trasversale – capace di attraversare gli anelli della catena delle specie – a costituire il tratto più stimolante, più inquietante, più perturbante (unheimlich) di una relazione sempre in bilico fra la separazione e la non-separazione. La stessa etimologia della parola “insetto” rimanda al rapporto tra il separato e il non-separato (en-temno; in-seco). Non soltanto l’etimologia, ma anche l’aspetto fisico dell’insetto mostra una tendenza alla separazione congiunta: linee di frontiera dividono – e al tempo stesso tengono insieme attraverso degli anelli – le sezioni del suo corpo.
Veniamo ora a Proust, che di insetti si è interessato soprattutto da un punto di vista poetico.
Nell’animale microscopico l’autore della mostruosa Recherche ha intravisto il simbolo – ma forse i maestri di retorica parlerebbero di allegoria – di un processo creativo che definiamo per comodità di sintesi arte.
Costruttore e distruttore, l’insetto è sospeso – proprio come l’essere umano – tra due catene di impulsi contrari. In questo chiasmo risiede gran parte del potenziale attrattivo dell’insetto. È senz’altro possibile che sia stato il nucleo della metamorfosi – in cui vita e morte si compendiano in una trasformazione radicale – a determinare il fascino che l’universo microscopico degli insecta ha esercitato su alcuni artisti. Nel minuscolo corpo dell’insetto si compie l’opera del Tempo nel modo più spettacolare, ovvero con un avvicendamento di morti e resurrezioni che l’occhio umano – in particolare l’occhio dell’entomologo – può seguire passo dopo passo: una serie di morti successive in cui al trapasso segue una trasformazione radicale.
È così che Proust ha trovato nella figura microscopica di questo instancabile costruttore distruttivo l’emblema di un processo creativo. In esso vita e morte sono inseparabili, l’una gemella dell’altra. Non c’è creazione che non implichi distruzione. L’insetto, che nell’arco della vita compie diverse metamorfosi, si affretta ogni volta a separare da sé una parte della sua stessa vita, morendo, ma permettendole in questo modo di sopravvivere:
Mais en tant que [les artistes] sont
eux-mêmes, je veux dire quand ils ne sont pas exiliés, quand il sont leur âme
intérieure, ils agissent en vertu d’un sorte d’instinct qui, comme celui des
insectes, est doublé d’un secret pressentiment de la grandeur de leur tâche et
de la brièveté de leur vie. Et alors, ils délaissent toute autre tâche pour créer
la demeure où vivra leur postérité, et pour y déposer cette postérité, prêts à
mourir ensuite. Voyez l’ardeur que le peintre met à peindre sa toile et dites
si l’araignée en met plus à tisser la sienne.
(Notes sur le monde mystérieux de Gustave Moreau - lo scritto fu composto all’indomani della
morte del pittore, nel1898)
Daniele Garritano
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