Anna Petrungaro, A debita distanza



La luna e il falò delle novità


Dall'incontro di giovedì 19 maggio ecco alcune impressioni ragionate su: multiformità e alterità varie di Pessoa e la presa d'atto dell'esistenza, nei sistemi delle idee come  in ciascuno di noi, di una frantumazione identitaria ovvero di un circolo che relativizza tesi e opposizioni.

L'esigenza di Carla nell'evocare la presenza di una tenuta, di un fil rouge, di un tessuto connettivo delle forme e delle identità, forse non è stata colta in pieno, offuscata dal rimando alla esperienza privata. Quest'ultima ha sufficiente legittimità nel ricercare i nessi con un discorso 'oggettivo' e /o generale. Essa è stata distratta dal giocoso rigetto celaniano dell'uso/abuso della parola 'percorso'. Tuttavia asportare l'esperienza dell'eteronimia pessoiana dalla sua culla letteraria e cercare in essa una legittimazione/spiegazione della dimensione esistenziale di ognuno, nel suo essere plurale, e in rapporto ai nuovi sistemi di comunicazione, trasporta un evidente rischio di banalizzazione, ma anche di distorsione interpretativa.
La tensione che circola in essa pone diverse domande.

 



A Carla rispondo con le parole di Andrea Zanzotto che in quel 'baule pieno di gente', citato più volte, dice:
"Sarà dunque una capillare analisi delle strutture fono ritmiche, sintattiche, sèmiche, dei loro intrecci di sovrapponibilità, opposizione, contestualità, a dirci "il profondo" dell'opera di Campos, Reis, Caeiro ecc., in modo da rassicurarci veramente che essi siano qualcosa di più che nomina e, in definitiva, flatus vocis, nonostante i loro condannati profili e "programmi" tanto differenti. Insomma, la ricerca effettuata sui tessuti soprattutto dei componimenti poetici farebbe probabilmente constatare un superamento delle barriere nominali, portanto a ritrovare un dato omogeneo – l'inconfondibile rumore-sussurro oceanico che, così a orecchio, si avverte in tutta la grande poesia di Pessoa. Forse si riscontrerebbe ancora una volta che  i saussuriani "mots sous les mots", serpeggianti al di sotto della superficie testuale, gettano ponti tra gli eteronimi e che, pur nell'affascinante diversità di atteggiamenti e di situazioni creata dai "nomi sopra i nomi", risulta una tendenza agglutinante, anche per vie anagrammatiche, dei "nomi sotto i nomi": appunto di attestare almeno un campo unitario di implosione.(...) Questo io che produce suoi duplicati (come il "tu" che troviamo nel componimento di apertura della Satura montaliana) e che finisce per non sapere più se sia l'originale o una copia, da una parte dichiara il fallimento di un discorso in cui un soggettivismo assoluto non può che esplicitare la propria irrealtà, ma ad un tempo azzera tutte le mistificazioni (e le spinte sadomasochistiche loro sottese), tutti i reali furori narcisistici che sono stati "intrecciati" finora al discorso sociale, pervertendolo. Dalla tabula rasa di Pessoa e dagli altri grandi autori al lui congeneri bisogna dunque ripartire."
(Antonio Tabucchi, intervista con Andrea Zanzotto, in Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa, Feltrinelli, 1990))



A Nerina, che ringrazio, per il contributo descrittivo di un corso di scrittura, rispondo con il piacere di colei che è rimasta felicemente spiazzata, dalla affinità di intenti e di orizzonti, con il profilo della mia esperienza in un pluriennale corso di scrittura cosiddetta 'autobiografica e creativa' all'interno della Casa Circondariale di Cosenza.
 "Riconoscere è l'unica dolcezza" (Osip Mandel'stam).
Questo verso mi è  apparso, in questa circostanza, particolarmente indicativo.

Il ricorso strumentale della creatività all'apprendimento della scrittura, tanto abusata nelle scuole dell'obbligo fonda anch'esso, sia la mitologia della creatività che l'illusione consumistica che circolano in questa profusione di scuole di scrittura creativa.
Le voragini da cui emergono le possiamo individuare in alcuni atteggiamenti che accenno di seguito:
Il vuoto di interrogativi su come agisca/no la/le supposte creatività.
Mi aspetto di vedere qualche modesto e assorto tentativo di scuotersi di dosso la malia e la velleità della creatività.
Esiste la possibilità di spurgare il ricorso allo strumentario dell'occultista docente, che autolegittima la sua retorica, con l'uso di manuali, eserciziari e un gioioso e beota entusiasmo sia dentro le scuole dell'obbligo che, e soprattutto, fuori la scuola dell'obbligo e dentro le scuole di scrittura creativa. L'esercito dei cosiddetti creativi tuttavia è un prisma composto di facce ma anche di medaglie diverse.
La difficoltà a definire e condividere il superamento di una idea di scrittura intesa, semplicisticamente, come veicolo del pensiero, collocato a monte o a lato della scrittura e non come strumento e motore del pensiero, che si crea anche dentro la scrittura e le è contemporanea.
L'imperio di una idea di scrittura monca fonda la credenza che, dall'alto o dal basso o da un imprecisato nulla, cali, emerga o appaia la folgorazione ispiratrice, che successivamente la scrittura tradurrà in parole più o meno restitutive. Non si considera il contributo che la scrittura in sé, anche e ovviamente, in ragione di una sua antropologica funzione interpretativa, prima ancora che estetica (cfr. Giorgio Manacorda, La poesia è la forma della mente, De Donato-Lerici, 2002), porta dentro la cosa scritta, dentro la creatura.
Bisognerebbe studiare di più e domandarsi sui modi e le forme della pratiche di scrittura, sulla potenza fattuale del linguaggio e, quindi, della scrittura. L'opera non va considerata come un oggetto dominato dall'autore, ma il presente orizzontale di una esperienza che trasforma e 'informa'- nel senso di dare forma – anche l'autore. Egli non è un semplice trasmettitore di dispacci commissionati e sorti da un irrealistico nulla.
Aggiungerei un altra parola da studiare, insieme alle parole creatività e scrittura. Una parola che è stata ed è tuttora vittima plurigiustiziata, massacrata, torturata, enfatizzata, mitizzata, equivocata forse più di qualunque altra parola: la parola libertà. "L'ideologia della fine delle ideologie è la più sottile e infingarda delle ideologie". (cfr. su questo stesso blog Hilde Domin: "parola libertà, ti voglio infiorata di schegge di vetro")




"Non scrivo per tutti" – amava dire Fortini – il quale ben sapeva che la letteratura è tutto meno che democratica. "Non per tutti" voleva dire che ogni sua parola – stilisticamente, prima che per le tesi professate – dichiarava la propria provenienza, il proprio punto di vista, la propria natura di 'ospite ingrata' all'interno di un certo contesto. Rivendicare questa libertà è divenuto inattuale: in contesti estremi, anche la parola più oltranzisticamente difforme – quella che appunto rivela il proprio essere intatta, il proprio essere incorrotta dal contesto – non può che svolgere altra funzione che quella di foglia di fico. (cfr. Gilda Policastro, Polemiche letterarie. Dai Novissimi ai lit-blog, Carocci, 2012).



Antonella Falco in uno stralcio di intervista allo scrittore Michele Mari su ‘Nazione Indiana’ si chiede come possa un romanzo che ripropone tutti gli stereotipi del romanzo d'avventura ottocentesco, tenere il lettore incollato alla pagina. La risposta - scrive Falco - "è da ricercarsi  nella maestria con la quale da sempre Mari maneggia i materiali della tradizione letteraria e nella passione, nel trasporto, nell'ardore oserei dire religioso con cui li ha letti e assimilati fino a renderli parte integrante della sua stessa persona"(.. .) "certe cose non solo si possono continuare a dire bene e originalmente anche se sono state già dette" - ha affermato Mari – "ma ci sono cose – anzi la letteratura è proprio la patria di queste cose – che si possono dire solo perché sono state già dette, proprio perché sono state già dette. (...) Se ti senti non esautorato in quanto tutto è già stato detto, una specie di ventriloquo attraverso cui quelle voci continuano a parlare, non sei più un pupazzo di legno, sei un essere vivo, un essere che senza nemmeno accorgersene se ne trova una tutta sua di voce".

Ho riportato questi due esempi, che trattano in maniera tangenziale e forse 'toccano' l'esigenza, dissacratoria e al contempo severa, che ha animato il laboratorio popolare di scrittura anti creativa.
Se ne potrebbero aggiungere altri. Tali questioni sono state riflettute, dibattute e documentate. Chi lavora con la scrittura e la comunicazione in contesti formativi deve avvertire, l'esigenza di accostarsi a questi pensieri con umiltà e fame di orientamento. 
Come è come non è, l'impressione è che ci sia una dispersione di docenza, dentro e fuori della scuola.

Mi sono riferita alla necessità di ricercare spiegazioni e significati, in direzione di una condivisione sui termini, perché ritengo che la retorica della creatività  incomincia proprio dalla parola creatività. I dizionari di linguistica riservano una voce alla 'creatività' e la grammatica generativa di Noam Chomsky distingue due forme di creatività linguistica: quella che rispetta le regole e quella che le trasforma.
L'uso meno recente dell'aggettivo 'creativo' lo abbiamo importato dagli Stati Uniti e riguarda proprio i corsi di 'scrittura creativa'.
Molto spesso chi conduce questi corsi, quando si tratta di scrittori, mette le mani avanti e, ragionevolmente, sin dalle premesse dice che il talento non si può insegnare, mentre quello che si può apprendere è un insieme di tecniche che rendono la scrittura più efficace a soddisfare i propositi dello scrivente.



"Anche se il nome sembra derivare dal più scatenato retaggio romantico, la cosa si presenta in linea con Anassagora: possiamo trasformare in un buon testo ciò che abbiamo in testa ma nessuno può trasmetterci la  capacità di inventare qualcosa di nuovo ... la scrittura creativa è un'etichetta ingannevole, recitativa, trovata per nominare in modo più seducente quelli che non sono altro che corsi di retorica contemporanea. Peraltro la retorica antica, tuttora ampiamente in vigore, identificava saggiamente l'atto preliminare alla scrittura nella cosiddetta inventio, che non è l'invenzione romantica (che sconfina nella creazione) ma il rinvenimento di temi e degli argomenti nella propria mente e nella propria memoria...(Stefano Bartezzaghi , L'Elmo di Don Chisciotte. Contro la mitologia della Creatività, Laterza, 2009).

"Perché non diciamo che una madre è creativa?'
 Fra natura e artificio, la creatività è sempre dalla parte dell'artificio, e questo va benissimo. Però vorrebbe farci credere di essere dalla parte della 'natura' e questo va meno bene.
Perché una parola diventa di moda ...
Si può pensare che, se tutti continuano a parlare di creatività, è per caso, o per idiozia: fosse anche vero, le proporzioni di tale presunta idiozia non sarebbero in sé trascurabili.
Gli ufi forse non esistono, ma gli ufologi sì, e vanno studiati. (...)

La creatività come mito non è quello che i suoi teorici o i suoi ideologi o i suoi venditori dicono che sia (anche perché loro dicono che non è un mito ma che esiste davvero): è quello che il pubblico ha capito o crede (o crede di aver capito) che è ...
Uno studio lessicale sul termine 'creatività', o meglio sull'inglese creativity, mostrerebbe che il suo più largo uso non è avvenuto nell'ambito e nell'epoca dell'estetica romantica, quando pure si parlava di 'creazione' a proposito dell'invenzione artistica e quando più l'artista pareva essere dotato di  virtù soprannaturali o demiurgiche.
La creatività compare invece a metà del Novecento e il suo logo è l'incrocio la cultura e i mass-media.
La vera mitologia della creatività si innesta su usi della parola (e dell'area concettuale) di tipo non strettamente artistico o non pienamente artistico.
Gli ambiti a cui la creatività è stata associata più di frequente, e quasi per antonomasia (fino a qualificare i rispettivi addetti come 'creativi' e le sue produzioni come 'creazioni) sono la pubblicità e la moda prêt-à-porter (...)


Sembrerebbe di poter dire che i creativi arrivano quando i creatori se ne sono andati.(...) Entra a far parte della mitologia contemporanea anche ogni racconto pur tematicamente antimitologico il cui argomento si possa riassumere come: "Scopriamo la persona fuori dal personaggio, l'essere umano che sta dietro al mito".
 Esiste una retorica dell'antiretorica, ed esiste anche una mitologia dell'antimitologia.
 Sarà necessario abituarsi a questi paradossi e a queste ricorsività..."(Stefano Bartezzaghi, Il falò delle novità. La creatività al tempo dei cellulari intelligenti, Utet, 2013).


Per l'aspetto 'destruens' della critica della mitologia potrebbe bastare quello che sulla creatività hanno detto autori che hanno riflettuto a proposito dei meccanismi con cui gli uomini pensano e realizzano cose inedite, o variazioni di quanto già noto. Autori come Paul Valéry, Raymond Queneau, Primo Levi, David Foster Wallace, ecc.
O più recentemente considerare quello che saperi tangenziali hanno prodotto. Boncinelli scrive:
"In realtà l'operato artistico è esso stesso dominato dalla tècne, la capacità cioè di misurare e organizzare i materiali secondo un progetto....E' la poesia forse la forma d'arte che più si avvicina al fare artistico inteso come campo della più piena libertà creativa. La poesia, la poiesis dei Greci, è infatti, letteralmente un 'fare' che si esaurisce in sé, nel suo godimento, pubblico o privato. Nella poesia la creatività si esprime forse allo stato più puro, come autentica e semplice associazione di elementi simbolici, i cui prodotti appaiono immediatamente nuovi ed originali, perché mai detti prima, e immediatamente fruibili, in quanto il loro uso coincide con il loro essere prodotti. In realtà anche la poesia richiede competenze tecniche, e la grande poesia, quella che ha dato vita, per esempio, ai grandi poemi epici, si è sempre espressa attraverso i limiti imposti dalla tecnica compositiva indispensabile per la trasmissione e la memorizzazione degli innumerevoli versi che costruivano quei canti. Non si può dimenticare la smisurata cultura di un poeta apparentemente semplice e immediato come Leopardi. Costui aveva letto tutto, aveva fatto risuonare tutto nel suo cervello ed era in tal modo preparato ad ascoltarsi per così dire 'da fuori' oltre che da dentro. (...)
La persona di genio si impegna costantemente e alacremente, quasi ossessivamente, sull'oggetto o sugli oggetti del suo interesse. La preparazione è fondamentale. Nonostante quello che si dice comunemente, io credo che nessuno abbia mai un'idea che nasca dal nulla: le idee vengono se uno si pone un problema, anche se non ancora ben definito; meglio ancora se si propone di risolvere un problema". (Edoardo Boncinelli, Come nascono le idee, Laterza, 2008)

Deleuze in Che cos'è l'atto di creazione (Cronopio, 2010) punta alla 'polisemia' in quanto atto di resistenza a qualunque lettura monodimensionale della realtà.



Metto in pausa l'appello a questa truppa ricordando, in ultimo, lo studio di Alberto Casadei che in Poesia e Ispirazione (Luca Sossella editore, 2009)  arricchisce il pensiero sul mito e sulla mitologia della creatività analizzando il rapporto tra poesia e ispirazione e sviluppando un utile studio sul rapporto tra linguaggio e attività psichica:

"L'ispirazione poetica è un mito antico.
Ma quali sono davvero i processi mentali che presiedono alla nascita della poesia? Il libro indaga l'enigma originario dell'ispirazione, collegando il discorso storico-letterario sull'arte poetica alle nuove esplorazioni della nostra mente condotte dalla linguistica e dalle scienze cognitive... Il pensiero poetico scopre finalmente che il proprio valore conoscitivo non si contrappone alla scienza, ma ne allarga i confini".

Alla fine ritorno a Nerina, a quel nulla che Celan ha ben detto, la cui voce, come è già stato scritto,  non si pone come espressione del singolo, anzi potrebbe apparire, come la più sublime versione contemporanea della condizione tipica del mito, quella di costruire una forma di discorso in cui personale e impersonale vengono a coincidere.
Non si tratta quindi, come nei miti romantici, di ritornare a stati primigeni, ossia a una poiesis che sostituisca la religione, sia pure immanente, o che miri a una sorta di musicalità del senso. Si  tratta di mirare a una semanticità scaturita da fondamenti eterogenei.

(Anna Petrungaro, A debita distanza, ore 20.50 del 2 giugno 2014)

Commenti

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Proust, la gelosia e lo «strumento ottico»