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Sulla narrabilità dei luoghi (III parte, La città anacronistica e il cinema postmoderno)

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  di Marcello Walter Bruno Calabria Ora, 23 settembre 2006 In superficie, nella sovra-città, le cose non vanno diversamente. L'ambiente urbano è già paesaggio, è già natura, oggetto, dissidio, trappola: organismo alieno e mutante, la città è “la cosa” che ci abita mentre crediamo di abitarla. La metropoli non ha cittadini: non ha memoria, è un palinsesto continuamente grattato e riscritto (come in quel video di David Bowie interamente occupato da vecchi grattacieli abbattuti con la dinamite: il “bum bum bum” di Charles Jencks). La città non è più a misura d'uomo perché è l'uomo a non essere più misura di tutte le cose. Gli umani sono già alieni, visitors, vampiri alla Matheson: posseduti dalla “cosa”, abitano la cosa-dolce-cosa. E' sempre stato così. La città è sempre già stata persa, distrutta: Parigi brucia da sempre; se non bruciasse, il cinema non la guarderebbe. Il neorealismo è sostanzialmente un'estetica delle rovine: nella Firenze deserta di Paisà si sent