Proust, la gelosia e lo «strumento ottico»
di Daniele Garritano
1. La scena della gelosia
La gelosia è il nome
del sentimento più condiviso fra gli innamorati che popolano il mondo romanzesco
della Recherche. A partire dalle primissime
pagine, con la scena iniziale in cui il bambino insonne invoca il ritorno della
presenza materna di fianco al suo letto, la gelosia si mostra come un
ingranaggio narrativo essenziale per l’opera di Marcel Proust.
Proverò subito a
darne una definizione. Si tratta, in termini generali, di una sofferenza
causata da una stato di separazione
fra il soggetto amoroso e l’essere amato. Il bambino che non riesce ad
addormentarsi se privato della «presenza reale» della madre rappresenta il
nucleo generativo di questa passione contagiosa. Se rileggiamo le pagine del dramma della buonanotte potremmo trovare
qualcosa di assai prossimo a ciò che Freud ha definito con il termine ‘Urszene’: la scena originaria, primaria
o primitiva, del desiderio proustiano, l’avvenimento (reale o forse
immaginario, nel senso di fittizio) a partire dal quale tutto ha avuto inizio[1].
Ora, vederla indispettita distruggeva tutta la calma di cui mi aveva
riempito un istante prima chinando sul mio letto il suo viso amoroso,
protendendolo verso di me come un’ostia per una comunione di pace dalla quale
le mie labbra avrebbero attinto la sua presenza reale e il potere di
addormentarmi. Ma quelle sere durante le quali la mamma, tutto sommato, restava
così poco nella mia camera, erano ancora dolci in confronto a quelle in cui
c’era gente a pranzo e lei, per questa ragione, non saliva a darmi la
buonanotte[2].
Nel racconto della scena primaria della gelosia possiamo
rintracciare il seme di una sofferenza che s’inscrive contagiosamente – in modo
virale, diremmo oggi – nel cuore del romanzo. Il personaggio di Swann, per
esempio, è presentato all’inizio come un rivale. Le sue visite senza preavviso
impediscono al protagonista-bambino di gioire della «presenza reale» della
madre di fianco al suo letto. Ma lo stesso Swann si affermerà
retrospettivamente – da lì a poche decine di pagine – come il protagonista di
uno dei drammi di gelosia fra i più celebri della letteratura occidentale.
L’effetto contagioso o virale è dunque uno dei primi segnali della
configurazione patologica che la gelosia assume nella scrittura proustiana. Si
potrebbe riempire un intero catalogo di personaggi della Recherche contaminati da questa “malattia”, per rendere conto degli
effetti prodotti dalla gelosia nei diversi generi
di relazione all’interno del romanzo (il protagonista, Swann, Saint-Loup,
Charlus…). Si potrebbe anche risalire ad opere precedenti (Il piaceri e i giorni, Jean
Santeuil), per isolare gli elementi cardinali di una genealogia della
passione gelosa in Proust. O ancora sarebbe possibile delimitare l’analisi del
fenomeno geloso alla questione essenzialmente epistemologica della sua teoria
della conoscenza, inquadrando la gelosia come una passione che esprime un desiderio di conoscenza. Seguirò
soprattutto l’ultima ipotesi – della gelosia come teoria della conoscenza –
tenendo conto che la “scena” della gelosia apre una prospettiva privilegiata su
diversi metodi di approccio al romanzo[3].
[1] «La mia unica consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma
sarebbe venuta a darmi un bacio una volta che io fossi a letto. Ma quella
buonanotte durava così poco, lei ridiscendeva così presto, che il momento in
cui la sentivo salire, e poi nel corridoio a doppia porta trascorreva il lieve
fruscio della sua veste da giardino in mussola azzurra dalla quale pendevano
dei cordoncini di paglia intrecciata, era per me un momento doloroso». RTP I, p. 17. Sulla nozione di «scena
primaria» nella psicoanalisi freudiana cfr. J. Laplanche, J.-B. Pontalis, Fantasma originario. Fantasma delle origini.
Origini del fantasma, tr. it. di P. Lalli, Il Mulino, Bologna 1988.
[2] RTP I, p. 18.
[3] Vedi L. Bersani, “Anguish and Inspiration of Jealousy”, in Marcel Proust. The Fictions of Life and Art,
Oxford University Press, Oxford 1965, pp. 56-97; M. Bowie, “Proust, Jealousy,
Knowledge”, in Freud, Proust, Lacan:
theory as fiction, Cambridge University Press, Cambridge 1987, pp. 44-65; G.
Deleuze, “Tipi di segni”, tr. it. di
C. Lusignoli, in Marcel Proust e i segni.
Einaudi, Torino 2001, pp. 5-15. Vedi anche J. Landy, Philosophy as Fiction. Self, Deception, and Knowledge in Proust,
Oxford University Press, Oxford 2004: in particolare “Self-Deception
(Albertine’s Kimono)”, pp. 85-100).
(...)
3. Un nuovo paradigma. Dalla visione alla lettura
Il fallimento del
desiderio di vedere è l’esperienza cruciale della grande “teoria della
conoscenza” costruita da Proust attraverso la narrazione degli amori gelosi. A
partire dall’episodio di Honoré, fino alle più note pagine della Recherche, una serie difetti di visione
condannano ogni amante a relazionarsi con un’ombra, a fissare il suo desiderio
nei punti oscuri del campo visivo. A seconda dei casi, potremmo parlare di una
mancanza di profondità o di rilievo, di una cattiva focalizzazione, fino al
punto limite dell’accecamento del soggetto che vuole svelare la verità sul suo
oggetto d’amore. È l’interesse la marca di questa «curiosità appassionata».
Esso intacca gli organi visivi dei personaggi gelosi, forzandoli a vedere le
cose «con l’immaginazione che ingrandisce tutto». In una pagina dell’incompiuto
Jean Santeuil troviamo un distillato
di questo straordinario desiderio di sapere:
Benché la vita di lei fosse qualcosa ch’egli non conosceva, che sfuggiva al
suo possesso, ecco che un caso, come un gran colpo di rete, gliene portava
tutta una parte. (…) Era sul punto di bussare alla persiana e il suo cuore gli
batteva forte come quando sta per avvenire in noi un grande mutamento. (…)
Provava una specie di piacere a sentire quei fatti che stava per toccare perché
si manifestavano a lui dietro quelle imposte illuminate, in quel rumore di voci
che udiva da quella finestra aperta, mentre, certo, si stavano spogliando, luce
e voci che conservavano per lui la medesima punta dolorosa di quando lo avevano
colpito, perché volevano dire in realtà: “Aspettava proprio qualcuno, c’è
qualcuno, ora che ti crede andato via”. Ma
l’amore che pone tanta passione nella persona che amiamo e che, quando
vediamo che non è tutta nostra, che forse è tutta d’altri, pone con la gelosia, che è quasi il suo inverso, una curiosità così
appassionata nel sapere tutto quello che fa l’essere amato, faceva sì che quel
lembo di vita segreta, quella introvabile pagina di realtà che la luce della
finestra gli preannunciava, gli si presentasse come qualcosa di immensamente
interessante, capace di dare alla sua intelligenza, malgrado il suo contenuto
doloroso, una specie di soddisfazione[1].
La costruzione della
scena della gelosia ha bisogno di un gioco fra ombre e luci – e spesso di una
finestra dalle persiane oblique, uno dei cui nomi è appunto ‘gelosie’. Potremmo
definire tale atmosfera come un chiaroscuro. C’è luce dietro le tende, ma ciò
che si ha interesse a vedere resta
fatalmente nascosto. Siamo sempre nel dominio dello scacco della visione. E
tuttavia nell’ultimo passaggio di Jean
Santeuil c’è un elemento già decisivo per la linea epistemologica che sarà
sviluppata compiutamente soltanto con la Recherche.
Si tratta dell’analogia con il libro, espressa dall’espressione «una pagina di
realtà», che diventerà una metafora strutturante per la maturazione del motivo
della gelosia nel romanzo a venire.
L’esperienza di
«curiosità appassionata» della gelosia evidenzia un legame con il motivo della
lettura, che Proust ha orchestrato a più riprese nelle pieghe del suo romanzo.
Ritornando all’incipit della Recherche
si possono intravedere i segni di questa parentela, nella scena primaria del “dramma della buonanotte”. Il contrappunto del
bacio materno, infatti, è rappresentato dalla lettura ad alta voce di François le Champi, libro dimenticato e
ritrovato che si rivelerà decisivo per il finale del romanzo. A partire dal
primo libro della Recherche, la
lettura si afferma come l’unica esperienza di conoscenza in grado di
rapportarsi con i segni incerti, corrotti, al limite del visibile,
caratteristici della gelosia. Se l’inchiesta gelosa è un «lavoro
d’interpretazione silenziosa» (come afferma Deleuze), è perché tale pratica
prende in prestito i trucchi del mestiere dalla pratica della lettura.
La percezione
diretta ha infatti bisogno della «presenza reale» dell’oggetto d’interesse; la
lettura, al contrario, è in grado di riempire i «grandi intervalli affatto
bianchi sull’intera lunghezza dei quali io dovevo ridisegnare, e prima ancora
apprendere, la vita di Albertine»[2].
Fra tutti gli esempi che si possono estrarre dalla Recherche, ne citerò tre che illustrano alcune configurazioni della
coppia gelosia-lettura.
Swann e la lettera. Preso dalla sua inchiesta sulla vita di Odette,
Swann posa il suo sguardo su una lettera da lei indirizzata a Monsieur de
Forcheville. L’attenzione del geloso di risveglia, pregusta il piacere di
soddisfare finalmente la sua «sete di sapere» attraverso un atto di lettura:
Lasciata la posta, fece ritorno a casa, ma aveva tenuto in tasca
quell’unica lettera. Accese una candela e vi accostò la busta che non aveva osato
aprire. Da principio non riuscì a leggere nulla, ma la busta era sottile, e
facendola aderire al cartoncino che conteneva fu in grado di leggere in
trasparenza le ultime parole. Era una formula di saluto molto fredda. Se,
invece di essere lui a scrutare una lettera indirizzata a Forcheville, fosse
stato Forcheville a leggere una lettera indirizzata a Swann, avrebbe potuto
trovarvi delle espressioni ben altrimenti tenere! Bloccò tra le dita il
cartoncino che, essendo più piccolo, ballava dentro la busta, poi, facendolo
scivolare con il pollice, ne portò via le
diverse righe sotto la parte di busta che non era doppia, la sola che lasciasse
trasparire la scrittura (…) Swann se ne stava là, desolato, confuso, eppure
felice, davanti a quella busta che Odette gli aveva consegnata senza timore,
tanto assoluta era la fiducia che riponeva nella sua delicatezza, ma grazie alla cui trasparenza si svelava ai
suoi occhi, come attraverso un vetro, con il segreto d’un incidente che non
avrebbe mai creduto di poter conoscere, uno squarcio della vita di Odette, come
in una stretta sezione luminosa praticata direttamente nell’ignoto[3].
Morel e il libro del Medio Evo. In Sodoma e Gomorra il narratore descrive il carattere ambiguo del
violinista Morel, oggetto delle attenzioni gelose del barone di Charlus. Il
focus è rivolto sui cambiamenti di personalità del giovane musicista, che fanno
di lui un «essere di fuga» (votato cioè a sfuggire a ogni tentativo di cattura,
proprio come Albertine per il protagonista):
Circa il suo carattere, conservai la pessima idea ispiratami dalla bassezza
di cui il giovane musicista m’aveva dato prova quando aveva avuto bisogno di me
e che era stata seguita, non appena ottenuto il favore, da un disprezzo spinto
sino a fingere di non vedermi. A questo bisognava aggiungere i suoi rapporti
evidentemente venali con il signor di Charlus, e anche certi istinti di
bestialità fine a se stessa la cui mancanza di soddisfazione (quando si
verificava), oppure le complicazioni che ne derivavano, erano causa delle sue
tristezze; non era, tuttavia, il suo carattere così uniformemente brutto, ed
era pieno di contraddizioni. Assomigliava a un vecchio libro del Medioevo,
zeppo di errori, di tradizioni assurde, di oscenità; era straordinariamente
composito. (…) In realtà la sua indole era davvero come un foglio di carta
ripiegato in tutti i sensi e così ripetutamente che è impossibile
raccapezzarcisi[4].
Albertine e la lettura al contrario. Siamo ne La Prigioniera. Il protagonista elabora dei metodi di lettura per
estrarre il significato latente delle frasi e dei gesti di Albertine.
Un certo avverbio (…) sprigionatosi in una sorta di conflagrazione dall’accostamento
involontario, a volte rischioso, di due idee che l’interlocutore non esprimeva,
avverbio dal quale io le potevo estrarre mercé appropriati metodi d’analisi o
d’elettrolisi, me la diceva più lunga
d’un discorso. Albertine lasciava a volte affiorare nelle sue parole questo
o quello di tali preziosi amalgami, ch’io mi affrettavo a “trattare” per
trasformarli in idee chiare. (…) Per tornare alle giovani passanti, mai
Albertine avrebbe guardato una donna matura o un vecchio con altrettanta
fissità o, al contrario, con altrettanto riserbo, e come se neanche vedesse. I
mariti ingannati che non sanno nulla sanno purtuttavia tutto. Ma occorre una documentazione materialmente
più nutrita per fondare una scena di gelosia. D’altronde, se la gelosia ci
aiuta a scoprire una certa inclinazione alla menzogna nella donna che amiamo,
essa centuplica tale inclinazione quando la donna scopre che noi siamo gelosi.
Si mette a dir bugie (in proporzioni mai raggiunte in precedenza) vuoi per
pietà o timore, vuoi per sottrarsi istintivamente, con una figa simmetrica,
alle nostre investigazioni. (…) A volte, la scrittura in cui decifravo le
menzogne di Albertine, senza giungere ad essere ideografica, aveva
semplicemente bisogno d’essere letta all’incontrario; così, quella sera,
m’aveva lanciato il seguente
messaggio destinato a passare quasi inosservato: (…)[5]
Occorre riconoscere
che l’ossessione del vedere tutto
resta sempre incompiuta per i personaggi gelosi descritti da Proust. Per loro
l’oggetto d’attenzione sfugge inevitabilmente, come se si trattasse di una
“regola del gioco” della scrittura proustiana. Ma i gelosi della Recherche (Swann e il protagonista) – a
differenza di Honoré di La fine della
gelosia – assumono questo genere di sottrazioni in modo inedito. Isolati,
fronteggiano le ombre, le sfumature e i fantasmi della loro gelosia; non si
lasciano paralizzare completamente. Mettono in moto delle tecniche di
decifrazione che designano il terreno controverso di una pratica di lettura
estrema (attraverso la busta, nelle pieghe della carta, all’incontrario).
Fra I piaceri e i giorni e la Recherche c’è una rivoluzione legata
alla teoria della conoscenza. Il suo punto di svolta è il passaggio percettivo
fra il vedere e il leggere. Lo statuto del sapere legato alla gelosia sarà di
conseguenza ben diverso: il geloso della Recherche
vorrebbe senz’altro vedere, ma è
costretto a leggere, senza mai sapere
con certezza se i suoi sospetti siano veri oppure falsi. Separato dal proprio
oggetto del desiderio, questo nuovo genere
di geloso non fa che collezionare indizi e collegarli al fine di costruire
possibili scenari. Si tratta di un processo immaginativo interminabile, almeno
finché resterà in vita il desiderio: i segni che alleviano la gelosia, infatti,
sono esattamente gli stessi che la nutrono. Se l’agognata visione, dunque, può
produrre una forma probatoria di sapere (la testimonianza oculare), la lettura
produce invece la possibilità di altre letture, una moltiplicazione di scenari
fittizi, una trama di altre storie. Lo «strumento ottico» della gelosia – che
si tratti di una lente, di uno stereoscopio o più semplicemente di un paio
d’occhiali – è per Proust una conquista che può arrivare soltanto con la Recherche. Un dispositivo di conoscenza
destinato non più alla visione, ma alla lettura. Così, per concludere con le
parole di Starobinski, «resta la lettura, lo sguardo critico. L’esigenza che li
dirige non è dissimile da quella che noi scorgiamo nei creatori. Per la vista
si tratta infatti di condurre la mente al di là del regno della vista, a quello
del senso. Lo sguardo critico decifra
le parole per accedere all’intuizione del loro pieno significato: questa
percezione non ha più nulla di un atto visuale, se non per metafora»[6].
[1] M.
Proust, Jean Santeuil, tr. it. di F.
Fortini, Mondadori, Milano 1970, p. 558.
[2] RTP III, p. 487.
[3] RTP I, pp. 341-43, c. m..
[4] RTP III, pp. 278-79.
[5] Ivi, pp. 476-79.
[6] J. Starobinski, “Il velo di Poppea”, cit., p. 17.
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