Paolo Guzzanti: Come essere anticreativo
se non so che
vuol dire creativo. O meglio, lo sappiamo. Sono le termiti della lettura e
della letteratura da spazzatura, vendono l’imbroglio della creatività ovvero l’arte
di tirare fuori la creatura dal nulla, dalla costola d’Adamo un arrosto di
costata all’americana. Sono in agguato con manuali di regole creative create ad
arte.
Prendiamo, fabbrichiamo un uomo. Anzi
una donna. Martina. E’ entrata ora nel ristorante di suo padre e vede seduto
Martin, il suo amico pescatore che si chiama come lei, come il martin pescatore
ha sempre pensato. Ma Martin ha le unghie sporche e Martina non lo sopporta. Sa
anche che Martin puzza e non sopporta neanche questo. Però lo ama e non sa
spiegarselo e sente tutto questo disastro di rumori tintinnanti e fracassati e
Martina ricorda quando l’hanno operata e nel dormiveglia dell’anestesia sentiva
il tintinnare e pensava alle forchette, adesso sente le forchette che tintinnano
e pensa ai bisturi e alla madre seduta accanto al suo letto, e la madre ora non
c’è più e nel ristorante di suo padre tutti fanno un rumore che equivale allo
splat splash and drip and drop dei dipinti che ha studiato a scuola, suoni e
colori e l’odore denso del sugo e dello stracotto perché i vetri sono appannati
di sugo e dietro i vetri c’è la campagna di neve grigia di malessere. Martina
vorrebbe dire a Martin qualcosa che non sa. Martin la vede e si alza e rivela i
suoi stivaloni da fiume alti fino alla coscia e lui le va incontro sbandando
sul carrello dei bolliti che barcolla e i due laggiù in fondo – incredibile –
stanno cantando ma nessuno può udire le loro voci e quelli però cantano a
squarciagola e Martina sente che la vita le esce dai vestiti e che tutto quell’odore è assurdo e si sente
vacillare e pensa che tutte le pillole che mandato giù sono state veramente
troppe e rimpiange di averlo fatto, ha un moto di ribellione verso se stessa e
vede nero e sviene trascinando il carrello dei bolliti che la inondano di salse
e di pezzi di carne di varie colorazioni di carne, dal rosso bianchiccio al
viola ottuso e le cola dell’olio sugli angoli delle labbra che sono diventati
viola e pallidi allo steso tempo e il suo corpo trema e Martin è sorpreso e
angosciato e chiede aiuto e pochi capiscono che qualcosa sta succedendo e nessuno
chiama un medico e Martina poco dopo smette di respirare e il suo cuore di
battere e nessuno le pulisce la bocca e quando cessa di vivere un piccolo lago
di pipì si allarga sotto le sue vesti e la scarpa si è persa e quando arriva
l’ambulanza tutto il piccolo ristorante è in subbuglio e tutti raccontano ciò
che non hanno visto, tranne Martin che non racconta nulla e si guarda le unghie
sudice e pensa che è colpa sua e della sua trascuratezza.
Ecco, questa mattina alle 10:15 scrivo
queste rughe e le invio a Massimo che chiede della scrittura non creativa (o anticreativa) e io
non so neanche che cosa siano le scuole creative, penso alla creatinina o al
dio creatore pantagruelico affamato di carne umana la creatura che accende
righi e il fumo dei roghi sale insieme all’alito di Martina e alla disperazione
di Martin con i suoi lunghi stivali da pescatore nel fiume, un fiume molto
lontano da dove si trovava e io non so proprio se Massimo accetterà questo mio
contributo che non significa alcunché e che forse per questo se ne va in giro
cercando significato.
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