Una esperienza di laboratorio per il dialogo con il laboratorio che è qui
Nel ragionare accanto a voi (mentre si sviluppa una rete
fitta di contributi e suggestioni) il desiderio di dialogare, che nasceva
all’invito a riflettere intorno al poetese e alle poetesse, si è concentrato (nell’ora
dell’ascolto) sul bisogno di riflettere e portare a condivisione una storia. La
storia è quella di un laboratorio “antiletterario” che ha avuto vita qui a Roma
per 4 anni, dal 2008 al 2011.
Il laboratorio di
scrittura biografica e sviluppo della creatività che ho proposto e
facilitato nello spazio allora molto vitale della sede romana di Via Attilio
Ambrosini del CEIS era nato intorno all’idea di applicare a un gruppo
eterogeneo (per età, condizione sociale, rapporto con la narrazione ed
esperienza formativa preesistente) quello stesso schema di intervento che da
anni andavo utilizzando nelle organizzazioni.
Lo schema, che partiva dall’attenzione al dato biografico o
autobiografico di persone e gruppi in condizione di lavoro o di convivenza
sociale, conteneva alcuni presupposti:
-
l’esistenza di una esperienza soggettiva o
gruppale, vissuta e patita e utilizzata, spesso nella cornice di un non detto a sé e all’altro
-
la possibilità per ciascuno di dotarsi di forme
espressive che consentono la percezione di questa esperienza, e la sua
restituzione in forma di “racconto” e quindi di visione e progetto
-
la restituzione del potenziale creativo a
ciascuno e ciascuna, attraverso la smobilitazione delle barriere erette a
difesa del pensiero convergente nelle organizzazioni e nei luoghi della
socialità e della formazione
-
la consegna di un compito di individuazione del proprio linguaggio, a partire da
esercizi di abilitazione narrativa
come occasione di riappropriazione e movimento verso sé e verso il gruppo.
Il laboratorio si muoveva quindi intorno a poche regole ma rigidissime,
una consegna di rispetto, e con il presupposto che nessuno dovesse essere
ascoltato e vissuto per la “qualità artistica” della narrazione, ma se mai
ospitato nel centro vuoto di una matrice di narrazione (luogo madre) con il
solo scopo di consentire una esperienza di racconto.
Diciamo quindi subito, per sgombrare il campo da false
intuizioni, a quali regole ci siamo attenuti e attenute:
-
ad ogni incontro veniva data al gruppo una
suggestione biografica per guardare dentro di sé, ed accanto ad essa uno
strumento narrativo da “praticare” (ad esempio sul tema “il primo bacio” lo
strumento narrativo epistolare da sperimentare)
-
ciascun partecipante era libero di sperimentarsi
nell’esercizio, senza alcun obbligo di riportare al gruppo la lettura del
proprio lavoro
-
ogni partecipante poteva decidere di astenersi
dall’osservazione autobiografica o biografica, e ricorrere alla finzione, se si
fosse sentito in difficoltà a prendere fra le dita lo specifico spunto.
Un gioco o un innesco preliminare (ad esempio le matrici di
sogno sociale, il body painting, le mappe) portava all’amplificazione di
ricordi, pensieri ed emozioni, per consentire a tutti di allargare lo spazio
del sentimento e del racconto.
Non essendo il laboratorio un gruppo clinico, non erano mai
consentiti commenti o domande di carattere personale sulle narrazioni portate
nell’alveo libero della matrice, e le emozioni venivano accolte e contenute ma
rispettosamente condivise nella sola sfera dell’esperienza di lettura.
Ognuno era lettore autonomo del contributo prodotto o poteva
chiederne la lettura al facilitatore, e ciascun contributo veniva “festeggiato”
per il valore riconosciuto alla narrazione in sé, al di là del suo maggior o
minore impatto estetico e letterario.
Il presupposto dell’esperienza era che la creatività fosse
una risorsa presente in ciascuno, spesso sepolta sotto abitudini all’elogio
della ripetizione, e che la scommessa del narrare fosse quella di ridar vita a
un modo di guardare le cose in modo nuovo e spesso non pensato.
L’esperienza, nel suo insieme, è stata ricchissima. Hanno
partecipato al laboratorio circa 50 persone: alcune per i 4 anni, alcune per
pochi incontri . Il gruppo ha accolto e fatto esprimere donne e uomini di età
che andavano dai 20 ai 75 anni, persone con scolarizzazione molto alta e
persone che non hanno mai avuto nella vita l’occasione di studiare, di leggere
e scrivere di sé e per sé. E sono stati ospiti del Laboratorio amici che hanno
portato la loro esperienza di persone, di artisti ed editori (in particolare
penso con molto affetto alla presenza di Luigi Romolo Carrino, di Claudio
Sanfilippo, di Mauro Mazzetti).
Ogni partecipante ha dato e preso e moltiplicato, e anche
chi arrivava lì con una bella esperienza alle spalle ha accolto il compito del
gruppo, che era non voler dimostrare di essere, né voler diventare lì dentro,
“scrittori”. Piuttosto, abilitare una risorsa interna, la narrazione, e scoprirne le forme che
assume dentro e fuori di noi.
L’esperienza mi ha insegnato che quando questa abilitazione
si costruisce e si porta fuori, ad esempio nei luoghi di lavoro e convivenza
sociale, qualcosa di molto forte accade:
si impara a vedere ciascuno per le risorse che porta, e si guarda a se stessi
con un po’ più di fiducia nella storia che si è.
Cosa ha a che fare
questo con le poetesse e il poetese?
La ristrettezza inquietante del nostro tempo si coagula
spesso dietro la necessità di definire e “inquadrare” i modi della produzione e
del riconoscimento. Così quindi ciascuno aspira ad essere, nel piccolo del luogo,
creativo, poeta, scrittore e veggente.
Il mondo è pieno di poetesse, ovvero di maschi e femmine che
aspirano a dimostrare e dichiarare un talento, un status culturale riconosciuto
e percepito, una appartenenza a un cerchio stretto che li consacra per
elezione a uno scarto dalla mortalità
attraverso l’opera e l’arte. Qui la parola poetessa assurge a simbolo di un
tentativo di veicolare il sé in qualcosa che si percepisce come “capace di
infrangere”, dotato di aura, e infine “seduttivo” a priori. E’ la retorica del
creativo positivo, del poeta stravagante ed ammiccante. Del maschio che si fa
femmina su un territorio sociale. L’io femmina speso invano.
Niente di più triste, io credo. E’ una nazione (e una storia),
la nostra, corrosa dal delirio tragico dell’autobiografismo, dall’estetica
della poesia come purificazione dallo scarto, come occasione di elezione e non
di elegia.
E proteggetevi, se possibile, dalle scuole di scrittura
creativa: sono il luogo di una vessazione sociale all’insegna del talento
conforme che finge l’azzardo. Credo invece valga la pena di sorprendersi e
persino commuoversi quando, fra tanto scrivere e tanto dire e tanto leggere e
tanto cercare, viene fuori quel chiaro
del bosco che si evidenza eccome per capacità di visione, di incanto e di
scarto.
E’ la sorpresa del duro sentire che costruisce mondi, e non
si dà pena di dirsi in fieri. Accade, ci cade in mano, e a tratti ci sovrasta. Lì vediamo un mondo, a volte anche solo a
partire da un verso. Ma questo, non
si insegna. Si esprime. E che cosa ci sia stato in ciascuno prima è nella cenere di Paracelso. E se vogliamo restituire, in ottica non sessista,
alla parola poetessa la sua dignità (affinché anche non occorra dire di una
donna: è un poeta), pensiamo in termini di genere che la poesia possa essere la
cavità mai piena. Nata a far fiorire quel
nulla che Celan ha ben detto.
Così dunque, oltre a dirvi di quel laboratorio e di come era
nato e stato, avevo voglia di leggere con voi un testo di Ingeborg Bachmann. Che ho posato sulle immagini di avvio di Into
the wonder, di Terrence Malick, al link:
Io leggo da lettrice, come posso.
(Nerina G., per il Laboratorio popolare di scrittura
anti-creativa in corso presso l’Istituto Comprensivo “Spirito Santo", a
Cosenza)
(...) "E proteggetevi, se possibile, dalle scuole di scrittura creativa: sono il luogo di una vessazione sociale all’insegna del talento conforme che finge l’azzardo. Credo invece valga la pena di sorprendersi e persino commuoversi quando, fra tanto scrivere e tanto dire e tanto leggere e tanto cercare, viene fuori quel chiaro del bosco che si evidenza eccome per capacità di visione, di incanto e di scarto." (,,,)
RispondiEliminaGrazie Nerì
grazie a te e a voi, Massimo-- :-)
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