L'ambiguità dell'acqua
di Ercole Giap Parini
Lisbona, 8 marzo 2014
Le parole, soprattutto in certi momenti, mostrano la loro
pesante inconsistenza. Non si tratta di insufficienza. Le parole sono scarpe
grosse che troppo grossolanamente chiudono i piedi e ne trascurano la forma.
Ma le parole sono anche scarpe piccole. Troppo piccole e strette, si appropriano del piede e lo deformano. E il piede non solo è perso, è proprio costretto a pigliare un’altra forma.
Ma le parole sono anche scarpe piccole. Troppo piccole e strette, si appropriano del piede e lo deformano. E il piede non solo è perso, è proprio costretto a pigliare un’altra forma.
Torna in mente,
allora, l’ambiguità dell’acqua di Lisbona: regno delle parole liberate, questa
città. Ostinata alle parole, l’acqua di Lisbona non si fa rinchiudere nelle
scarpe che la vogliono mare o fiume. L’acqua fiume incontra il mare. Qui il fiume
si fa mare. Qui il fiume si fa a-mare. È il fiume che si fa amare, dal mare ma
anche dal fiume, ambiguamente. Onanisticamente. Ma poi si sdoppia.
Sciabordio lungo la
distesa di grigie pietre. Cais do Sodré. Dalla sponda lo sguardo va verso il
largo dove sta la distesa di grigio specchiato.
Tutto sta.
Stanno i pescatori
con le loro canne a cogliere pazienti il tremito del filo. Hanno una smorfia
che è sempre quella, pronta a rompersi in un sommesso mugugno di gioia.
Sta il
chiacchiericcio monotono delle famigliole, sottofondo della solita uscita domenicale.
Per me, per loro. Mangiano il gelato mentre gli occhi si perdono verso l’altra
sponda. Un bambino strilla. Che noia!
Sta la coppietta
sulla panchina: avvinghiati, le mani perlustrano e palpeggiano furtive. Per
goffa protezione di intimità, un cappotto a mo’ di coperta. Immagino il seno
stretto come uno schiaccia-pensieri.
Sta anche chi è solo
e cerca. Più in là del ponte del “Venticinque di aprile”, l’aria più chiara che
si libera sull’Atlantico.
Sta anche il
monumento di agili steli di ferro. Guarda l’acqua e non la capisce. Acqua che
cambia colore mentre passano le ore. Una vena d’azzurro guadagna il grigio
della coltre che, lenta e pesante, cela un infinito, frenetico lavorìo. Le
molecole si legano insieme giusto il tempo di lasciarsi e si legano in altri
amplessi e chimiche carezze.
Lavorio che la
fiacca superficie trattiene per prendere a prestito, di tanto in tanto, un poco
di quella passione. E si scuote.
(fragranza per ambienti)
Caro Giap,
RispondiEliminati racconto un fatterello.
Ad Arcavacata imperversa un buffo cattedratico che colleziona onorificenze a cui non piace ciò che ho scritto sull'acqua. Non nel senso - poetico - di scrivere "sull'acqua" come supporto, ma sull'acqua, sull'acqua minerale, intesa come argomento.
Quando mi venne consegnata "in tutta franchezza" questa obiezione, rimasi perplesso, rapidamente cercai di effettuare una scansione alla ricerca di un file evidentemente non disponibile o comunque perduto, come forse è giusto che sia in una RAM logorata da cinquantasei anni di attività.
Ritornato a casa chiesi a mia moglie se per caso ricordasse un mio scritto, magari remoto o rimosso, sull'acqua. Chissà, forse su un'acqua minerale famosa, magari sulla Perrier? Niente. Allora mi misi a cercare nelle cartelle e sottocartelle del mio pc (e questa volta non è una metafora cerebrale). Negativo, nessuna traccia. Salvo il titolo di una tesi di laurea: "retorica dell'acqua".
Ma chi può scrivere le sue parole sull’acqua?
La questione sembra riguardare l’invenzione del cirillico. Jiří Maria Veselý (Scrivere sull'acqua. Cirillo, Metodio, l'Europa, Jaca Book, 1982) si sofferma su la “Vita di Costantino”.
Lì si racconta che l’imperatore un giorno convocò il consiglio, invitando il filosofo Costantino (il cui nome monastico è Cirillo) e disse: “Filosofo, io so che ti è di peso, ma occorre che tu ci vada. Nessun altro, fuori di te, può eseguirlo”. Il Filosofo (che insieme al fratello Metodio era già stato inviato a evangelizzare la Pannonia, ora che gli si richiedeva di recarsi in Moravia) rispose: “ Anche se sono fisicamente esaurito e malato, ci andrò volentieri se, però, hanno le lettere [dell’alfabeto] per la loro lingua”. L’imperatore gli replicò: “Benché mio nonno e mio padre, e tanti altri l’avessero cercato, non l’hanno trovato. Come posso trovarlo io?”. Allora il Filosofo disse: “ Capisco, ma chi può scrivere le sue parole sull’acqua? Oppure ci si deve procurar il nome di eretico?”. Ma l’imperatore (si tratta dell’Imperatore bizantino Michele III) e suo zio Bardas insistevano di nuovo: “Se tu lo vuoi potrà dartelo Dio, il quale dona a quanti pregano senza dubitare, e apre a quanti bussano”.
La principale preoccupazione di Costantino era quella di poter disporre di un alfabeto adeguato alla lingua: “senza il libro”, si scrive sull'acqua, cioè nel vuoto, e si può essere capiti male, in maniera “eretica”.
Ecco, al buffo cattedratico non piacque ciò che non avevo mai scritto e che continuo a non scrivere. Perché scrivere sull'acqua è difficile. Anche se lo ha fatto molto bene Michele Trotta, recensendo circa 500 etichette di acqua minerale per la sua tesi, in un libro che giace da tempo presso qualche editore miope e distratto. Anche se ne scrisse mirabilmente Leonida Repaci http://www.ibs.it/code/9788849800067/repaci-leonida/magia-del-fiume.html
Anche se ci ha provato David Foster Wallace https://www.facebook.com/notes/voi-siete-qui-radio-24/questa-%C3%A8-lacqua-david-foster-wallace/249841578400103 e ora ci hai provato tu. Hai visto? È difficile.
Fernando António Nogueira Pessoa, forse consapevole di tanta difficoltà, mise al mondo Bernardo Soares perché un giorno questi avrebbe appuntato, su una logora pagina di eterne e inconsistenti parole inquiete, questa frase: "In ogni goccia di acqua la mia vita fallita piange nella natura. C’è un po’ della mia inquietudine nel goccia a goccia, negli acquazzoni con cui la tristezza del giorno si rovescia inutilmente sopra la terra." Tutto questo coraggio di scrivere dell'acqua gli venne da una fusione e da una mutilazione. Da una fusione perché pagò il prezzo di farsi d'acqua con corpo altrui, perdendone i confini di pelle in quelle gocce. Della mutilazione ci dice lui stesso. Pare si trattasse di "una semplice mutilazione: [Bernardo Soares] sono io senza il raziocinio e l'affettività".
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