Bella, ciao.
Bella virgola ciao
Massimo Celani feat. Alma Gaia Pisciotta & Frankie hi-nrg Sgarri
Bella, ciao. Quella virgola non è una virgola, è un punto. Di catastrofe. https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_delle_catastrofi
Quindi, da un lato la forza ritmica di "bella ciao", anche se lì il ritmo ristagna, fossilizzato nel ripetersi del sintagma oltre che nel canone dei canti del lavoro, della lotta e della resistenza, qui lo schiocco della virgola [dal lat. virgŭla, dim. di verga «verga»: propr. «verghetta», segno di punteggiatura, simile a un bastoncino leggermente ricurvo], il frùstolo (o frùstulo) [dal lat. tardo frustŭlum, dim. di frustum . – 1. non com. Frammento, pezzetto: f. papiraceo. 2. In zoologia: a. Rivestimento siliceo delle cellule delle diatomee formato da due parti, le teche, unite come il fondo e il coperchio di una scatola].
Dall'altro un soggetto "angoloso", con la Domin che non ama le palle:
Francesco Garritano, “L’indecidibile e la sua legge”, in DIMORA. MAURICE BLANCHOT, Palomar, 2001.
Eccolo in prima pagina, nel momento più grave della vita nazionale, il ritorno sulla scena del proletariato. Compagni, dai campi e dalle officine, prendete la falce, portate il martello, scendete giù in piazza, picchiate con quello, scendete giù in piazza, affossate il virus, ma tutti muniti di mascherine come in un dipinto corale di un Quarto Stato, questa volta 4.0 che avanza unito e solido sotto la bandiera dell’unità nazionale.
Massimo Celani feat. Alma Gaia Pisciotta & Frankie hi-nrg Sgarri
Bella, ciao. Quella virgola non è una virgola, è un punto. Di catastrofe. https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_delle_catastrofi
"Una catastrofe è un punto critico (o stazionario, o singolare) degenere (o non regolare) di una superficie liscia", liscia come il sintagma abusato "bella ciao" o forse "bella-ciao", comunque tutto attaccato, favorito com'è dall'iterazione "ciao ciao ciao". Bella virgola ciao è tutta un'altra cosa. Avrebbe detto Elio Pagliarani: "Forse le città non cambiano e muoiono «solo quando ristagna il ritmo e quando investe / lo stesso corpo umano a mutamento». (...)
Chi c’è nato || vicino a questi posti
non gli passa || neppure per la mente
come è utile || averci un’abitudine.
Partendo dalla sua idea di poesia non lirica, priva il verso di qualsiasi tensione emotiva, e lo rende −volutamente− più meccanico, sliricizzato (...) turbamenti ritmici.
Erik Satie, nella conferenza sui "SEI", dice di essere "disposto ad avere delle abitudini ... ma non delle abitudini fossili ...".
Erik Satie, Quaderni di un mammifero, a cura di Ornella Volta, Adelphi, 1980.
Ascoltali / congiungersi
/ le parole alle parole / senza una parola / i passi ai passi / uno a / uno
(Filastroccando, in Samuel Beckett, Poesie, a cura di Gabriele Frasca, Einaudi, 1999).
Da un lato l'ammonimento di Confucio:
Chiamate / rotondo
quel che è rotondo / angoloso quel che è angoloso.
(Nennt das Runde rund / und das Eckige eckig).
(Nennt das Runde rund / und das Eckige eckig).
Dall'altro un soggetto "angoloso", con la Domin che non ama le palle:
Libertà / ti voglio /
irruvidire con carta smeriglio / tu tanto lisciata (...)
(Freiheit/ ich will dich / aufrauhen mit Schmirgelpapier / du geleckte).
(Freiheit/ ich will dich / aufrauhen mit Schmirgelpapier / du geleckte).
Ti lisciano / in
punta di lingua / finché diventi rotondissima / palla / di tutti i biliardi
Parola libertà / ti voglio irruvidita / infiorata di schegge di vetro /
difficile da avere sulla lingua / palla del gioco di nessuno (…)
(Freiheit Wort / das ich aufrauhen will / ich will dich mit Glassplittern spicken /) (...)
Topologia della parola: dice Domin che “le parole sono
delle melagrane mature, /cadono a terra e s'aprono./ L'interno si volge
all'esterno, / il frutto scopre il suo segreto /mostrando il seme, / un nuovo
segreto.
E' il caso di bella, ciao. E di libertà, palla del gioco di nessuno. Dove le parole a volte sanno infiorarsi di schegge di vetro.
Hilde Domin, “In forma di parole”, nuova serie, anno primo, numero
secondo, traduzione di Gio Batta Bucciol, Marietti, 1990.
25 aprile 2020 Rimini, piazza Tre Martiri,
Federico Mecozzi,
con Stefano Jiménez Zambardino e Massimo Marches
Passi falsi in tempi distanziati
Chōra, dal Timeo platonico a Derrida, è parola di
difficile traduzione oltre che di un’aspra concettualizzazione. Chōra: luogo,
posto, ricettacolo e nello stesso tempo non luogo. Più che “è” sta per “può”,
“può essere”? Traduzione possibile “che non esaurisce la questione. Infatti:
che cosa ha possibilità? Chi può?” – si chiede Peppe Barresi in un libro
collectaneo dedicato appunto a Jacques Derrida e ai Luoghi dell’indecidibile. In altri passi ci s’imbatte nell’incoraggiamento, affettuoso e problematico,
indirizzatogli da Jean Hyppolite “non vedo dove lei vada”. Ricorda Derrida “di
avergli pressappoco risposto così: se io vedessi chiaramente, e in anticipo,
dove vado, credo di sicuro che non farei mai un passo in più per recarmici. (…)
A che pro andare dove si sa che si va e dove si sa destinati ad arrivare”. Più
avanti, nello stesso libro – edito da Rubbettino - si ritrova ampiamente citato
un testo di Jacques Bouveresse (mi limiterò per esigenze di spazio a rimarcarne
il solo titolo): “L’oscurità del tempo presente”. Lì si discuteva del
Wittgenstein politico, della sua ritrosia, del suo “sarà rivoluzionario colui
che potrà rivoluzionare se stesso”. Ancora una volta un “potrà”, un ottativo, una
possibilità espressa al futuro.
Per Pas abbiamo
adottato la traduzione Non/Passo
perché il termine traduce, in lingua francese, sia il sostantivo passo (invariato anche nella forma
plurale) sia l’avverbio di negazione non
(…). L’uso di pas nelle proposizioni
negative, unitamente all’insistente indecidibilità stabilita da Derrida tra
avverbio e nome, non ha sempre permesso che venissero mantenute, nella
traduzione italiana, le oscillazioni e i travasi semantici tra i due termini (a
titolo di esempio: ”Le pas n’est donc pas même un pas, pas même”, che abbiamo
tradotto: “Il passo dunque non è nemmeno un passo”).
Silvano Facioni, nota del traduttore, in Jacques Derrida, Paraggi. Studi su Maurice Blanchot,
Jaca Book, 2000 (Galilée, 1986).
Roma, 2007.
a cura di Ludovico Pratesi
Piétiner, verbo
che deriva da piéter (marciare,
attestato nel 1621), indica un’azione singolare: può infatti significare
l’agitarsi, il battere con insistenza i piedi sul terreno in una situazione di
impazienza: il fremere. L’impazienza è quanto segna l’azione in relazione al
fine, da approssimare, da trarre a sé. (…) Se volessimo ricorrere ad un’immagine
icastica dell’impazienza, potremmo convocare quella degli ippodromi, allorché i
cavalli, disposti nella griglia di partenza, battono gli zoccoli sul manto
erboso in attesa che le gabbie vengano aperte per lanciarsi verso il traguardo:
l’animale sente lo spazio, la distanza frapposta tra il luogo in cui staziona e
la linea del traguardo, così come avverte la presenza degli altri cavalli. La
situazione in cui domina l’impazienza, sottoposta all’attesa propria del
protocollo (il giudice di partenza deve verificare che tutto sia in ordine, che
ogni cavallo sia all’interno della propria gabbia, prima di dare il segnale di
partenza), fornisce un esempio del piétiner,
azione in cui si consuma la stasi, ossia una condizione che si intende
abbandonare per il movimento. Ciò dà origine ad una sorta di anticipazione,
quella propria di uno scatto nel luogo o sul luogo, in una stazione marcata da
una limitazione della mobilità. Lo scalpitare, il vibrare segnano
l’appartenenza alla posizione e la tensione propria a volerla abbandonare. Nel piétiner osserviamo questa particolare
articolazione, nella quale il luogo è occupato e, parimenti, vuoto, nel senso
che il movimento nello spazio, nel medesimo spazio, è indice
dell’attraversamento, del procedere al di là. Troviamo nel luogo, in un luogo
dato, l’indiscutibile primato del qui, messo in discussione da un là, dalla
destinazione dello spostamento. (…) piétiner
propone una situazione aporetica nella quale la possibilità del movimento è
segnata dall’impossibilità, situazione che è anche una condizione di
indecidibilità: c’è spostamento sur
place, ovvero il movimento ha luogo, ma non si consuma
nell’attraversamento, nell’avvicinamento della meta. (pp.7-8)
Bologna, 25 aprile 2020 - Paolo Fresu
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«Distanza sociale», il titolo dell’ultima opera dello street artist Harry Greb, comparsa nel cuore di Roma, a Trastevere, inizialmente rimossa e poi nuovamente affissa nel cuore della città eterna. Un omaggio ai lavoratori in un primo maggio unico nel suo genere, ai tempi del Covid 19. L’opera rimanda a «Il quarto Stato», famoso dipinto del pittore italiano Giuseppe Pellizza da Volpedo ma rivisitata in chiave attuale. Strade deserte e operai che, nonostante tutto, non rinunciano a scendere in piazza rispettando appunto la «distanza sociale». «Ho voluto omaggiare - spiega l’artista - tutti quei lavoratori che in questo periodo rischiano di perdere il lavoro, un’emergenza nell’emergenza. In un primo maggio caratterizzato giustamente dalle restrizioni, ho voluto porre l’accento sulle tante persone che a causa di questa emergenza sanitaria, non hanno più certezze»
L’annegato, 1901
Olio su tela cm. 293x545
Civica Galleria di arte moderna di Alessandria
il disegno preparatorio
conservato presso la Fondazione Cassa di Risparmi di Cortona:
Il ritorno dei naufraghi al paese o L’annegato o I naufraghi
1894
Carboncino e matita su carta beige applicata su tela - 76,5x134 cm
Tommaso Pergolizzi
23 marzo 2020
Con le ulteriori restrizioni varate dal Governo per fronteggiare l’emergenza sanitaria del COVID-19, città, paesi e borghi italiani si vanno via via svuotando. Strade, parchi e piazze vuote richiamano così alla mente le affascinanti ed enigmatiche immagini delle città metafisiche di Giorgio de Chirico. Il tema della città è infatti un motivo ricorrente nell’opera pittorica di de Chirico; un tema tra i più emblematici che, il pittore, non ha mai abbandonato mai durante tutta la sua carriera artistica.
§
Il Quarto Stato con la mascherina.
Sindacati contro il Covid-19 minaccia per Patria Nazione e Occupazione
26 marzo 2020, CN24
di Vito Barresi
Lavorare nei giorni e nelle notti del virus. Lo fanno i lavoratori del commercio, i lavoratori dell’industria e dell’artigianato, del chimico-farmaceutico, quelli delle lavanderie industriali, dell’energia petrolio, trasporto gas, miniere e dei servizi ad alta rilevanza tecnologica, elettricità, acqua, gas, i lavoratori agricoli e quelli dell’industria di trasformazione alimentare, i lavoratori della conoscenza scuola, università e ricerca, i lavoratori pubblici, i medici, gli infermieri, ma anche gli autotrasportatori, i metalmeccanici, i lavoratori della filiera alimentare e commerciale.
Un vero e proprio esercito della salvezza e della salvaguardia civile composto da un elenco enorme di tante mansioni, profili e figure professionali, posizioni organizzative che, a ciclo continuo H24, sono negli uffici e nelle strade di città e paesi, per rompere l’assedio della bestia feroce e invisibile, sconfiggere il nemico mortale e malvagio, avido e ingannevole che minaccia l'intero popolo.
Da qui la ripresa di vigore, il ripristino della forza e del peso politico del movimento sindacale italiano è apparso immediato, persino sorprendente, facendo scorgere a più di un osservatore non solo l’autorevolezza in termini di rivendicazioni immediate per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori esposti, ma anche di incisività ed efficacia nel recepimento delle proprie proposte nei decreti speciali del primo ministro.
A tal punto che nel dipanarsi ansioso degli eventi epidemici, tra bollettini di guerra, numero dei contagi e dei caduti sulla trincea della pandemia bellica, nessun altro attore sociale e politico, all’infuori del Capo del Governo, può rubar loro il primo piano, eludere il confronto con i leader sindacali come sottolinea il segretario della Cgil:
“abbiamo sottoscritto un protocollo condiviso tra governo e parti sociali perché in tutti i luoghi di lavoro ci siano condizioni di sicurezza per lavoratrici e lavoratori. Quel testo prevede sanificazione, protezioni individuali, ammortizzatori sociali, riduzione e sospensione delle attività. Se un’azienda non rispetta il dovere di messa in sicurezza, la Rsu o le organizzazioni sindacali territoriali di categoria ricorreranno a tutti gli strumenti di azione sindacale perché la salute viene prima di tutto.”
Tasto su cui i sindacati hanno cominciato a battere con sempre maggiore consapevolezza mediale per come si comprende dalla calibrata presenza in video, in radio e sulla stampa dei segretari generali delle tre principali confederazioni, tra cui spicca il numero uno della Cgil, Maurizio Landini che specifica: “noi vogliamo che si lavori in tutte le attività oggi essenziali, applicando il protocollo sulla sicurezza firmato a Palazzo Chigi”, spiegando perché molte categorie e molti territori stanno scioperando con il sostegno delle confederazioni.
Un preambolo che consente al capo sindacale di portare la palla al centro del dischetto, posizionandola nell’area di rigore del confronto e dei tavoli di trattativa dopo anni di quasi esclusione da parte del governo e della politica, non tanto e non solo per scongiurare lo sciopero generale quanto per inquadrare complessivamente la partita, il gioco, il confronto tra le parti sociali e il governo:
“sarà il lavoro a sconfiggere il virus. Come già oggi vediamo nell’impegno eroico di migliaia di lavoratori della sanità e di tutti i settori e attività che stanno permettendo a tutti noi di continuare una vita quasi normale, rischiando in prima persona.”
Disciplinato, coraggioso, granitico, unito, pronto a respingere l’assalto dell’armata infida e contagiosa che avanza sotto la bandiera gialla del coronavirus, come ieri, come sempre, al canto dell’Inno dei Lavoratori scritto da Filippo Turati, gli operai delle fabbriche e delle officine, i compagni sindacalisti si rimettono in marcia con sprezzo del pericolo, su musica di Zenone Mattei, spronando alla mobilitazione la falange industriale e dei servizi per combattere uniti contro l'epidemia e per l'economia sul campo sempre più complicato della vita quotidiana:
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